Tessere fra il Visibile e l’Invisibile
Accomunano le opere illustrate nel catalogo due soli aspetti: la modalità costruttiva e la funzione. Realizzate con un telaio manuale, esse sono destinate alla decorazione degli ambienti. Per il resto si presentano piuttosto differenti in quanto rappresentative dell’alto grado di sperimentazione che caratterizza l’attività artistica di Silvia Beccaria. Uno sperimentare che riguarda non solo l’utilizzo, entro un intreccio tessile tradizionale, di materiali e persino oggetti, al contrario, “simbolo” della contemporaneità, ma anche la forma stessa all’opera.
Anemone è il nome di un pannello tessuto in ordito di cotone e trama di lino , sul quale si dispongono lunghi steli recanti piccole corolle rigonfie, tridimensionali. Sono fiori che non esistono in natura, creati utilizzando quelle retine colorate di plastica per imballaggio. Un materiale che ci capita di avere spesso fra le mani e che non esitiamo a buttare. Difficilmente distruttibile, persino pericoloso per la vita degli animali, se abbandonato in terreni e acque, eppure così poetico e apparentemente quasi effimero nell’opera dell’artista.
Nel trittico Madrepore all’intreccio tessile è unita della gommapiuma, per solito non visibile in quanto usata come imbottitura. Tagliata e piegata a formare cilindretti raggruppati irregolarmente, essa crea sulla superficie dei pannelli delle concrezioni porose e leggere capaci di evocare, in virtù anche del colore grigio, misteriosi fondali marini.
Le retine di plastica e la gommapiuma non parrebbero materiali né nobili, né belli. Eppure con le sue opere Silvia Beccaria ci mostra come possano dar luogo a forme che ambiscono ad avvicinarsi alla bellezza della natura e al contempo a rammentarcene la sua compromissione. Ciò che li trasforma è il loro impiego prezioso, tutt’altro che consumistico, all’interno di un procedimento esecutivo – la tessitura manuale – che resta com’era in antico, scrupoloso, lento e faticoso.
In Turin Fiber Map, diviene materiale tessile, insieme al cotone e al lino, la carta stampata. Sono fogli recuperati da uno stradario cittadino, ridotti in frammenti dal bordo zigzagante e inseriti, per metà della superficie dell’opera, nell’intreccio di fondo. Il risultato è estetico e concettuale. La mappa che dovrebbe guidarci è divenuta inservibile, un vento capriccioso l’ha ridotta in brandelli e sospinta in un angolo.
Africa è invece un trittico il cui ordito serra una trama in materiale tradizionale, pertinente al titolo dell’opera. Ma a guardare con attenzione si scopre una “contaminazione”: i mazzetti di rafia sono infilati entro tubicini in PVC trasparente con tanto di codice merceologico in nero.
Ancora un’altra soluzione creativa, forse la più ardita, in quanto non riguarda le fibre utilizzate, ma la forma stessa del manufatto tessile che tradizionalmente è bidimensionale e acquista la terza dimensione solo attraverso il taglio e il cucito, si trova nella serie Il femminile, Il visibile e l’invisibile. Silvia Beccaria, utilizzando un filato di nylon privo di colore, tesse dei teli a tramatura volutamente rada ed incostante e dalle lunghe frange che in seguito, con un procedimento che non sveleremo, modella come se aderissero a parti del corpo femminile. Il risultato è un’opera simile al gesso di un frammento di scultura classica, eppure incorporea.
Anna Maria Colombo