Tessere tra Natura e Storia
Gli abiti–scultura di Silvia Beccaria, straordinari per più ragioni, modalità d’esecuzione, materiali e foggia
La tecnica con cui Silvia crea le proprie opere risulta straordinaria, in quanto anacronistica. Lo strumento impiegato non è diverso da quello in uso sino all’inizio del Novecento nelle comunità con un’economia di sussistenza, ad esempio quelle alpine: un telaio a pochi licci azionato a pedali. Non per questo però tessere, anche solo semplici tele, è un’attività facile. Essa richiede doti quali la precisione, la forza e la pazienza: perché le cimosse siano verticali perfette; perché la stanchezza non alteri il ritmo delle battute che sospingono le trame; perché le ore, che non si contano, trascorrano leggere.
In secondo luogo i materiali scelti per dare al progetto corpo e consistenza sono non ordinari in quanto si discostano dalla tradizione. E’ pur vero che l’ordito si mantiene per lo più in robusto filato di cotone (oppure in nylon), ma a contare qui è la trama. A lei si deve l’aspetto visivo e tattile del tessuto. Quanto sia non consueto l’impiego in tessitura di reti di plastica o di tubi di gomma è fin troppo evidente, ma al pari innovativo, se non di più, è l’uso di elementi vegetali, come i fiori e le spighe che s’intrecciano negli abiti della serie Donne in fiore.
Materiali ricavati dalla vegetazione autoctona, quali lino, canapa, ginestra, ortica, appartengono alla tradizione dell’artigianato tessile. La lavorazione a cui erano sottoposti però mirava a cancellare il più possibile le tracce della loro origine. Ogni residuo legnoso, ogni impurità, doveva essere eliminata, sino a ottenere fibre sottili e il più possibile morbide. Immersi in un mondo naturale e immutato da sempre, i prodotti del’attività umana miravano ad allontanarsene, a mitigarne la durezza.
Nelle opere di Silvia Beccaria avviene il contrario. Gli elementi vegetali sono usati al naturale, senza bisogno di manipolazioni che li trasformano, a parte l’essicazione e la colorazione. La loro relativa rigidità è enfatizzata dalla foggia stessa dell’abito che diviene al contempo scultura. Questo procedere creativo raggiunge il culmine nell’opera Metamorfosi, dove, a essere inseriti fra l’ordito sono, per quanto flessibili, dei segmenti legnosi. La persona che vorrà indossarlo si sentirà trasformare in un albero, come avviene a Pictor, il protagonista della Favola d’amore di Hermann Hesse.
Accanto alla preziosità della natura, le opere di Silvia suggeriscono il valore della storia, come fonte di modelli o solo come suggestione a posteriori. E’ il caso dell’abito in lino écru, la cui elegante arcaicità gli ha valso il nome di Tutankhamon. Eppure nell’intreccio del tessuto sono introdotti, nella direzione dell’ordito, quali novelli papiri, dei rotolini ricavati da fogli di giornale, materiale non meno che contemporaneo.
Vi è anche il patriottismo glamour di Sorelle d’Italia, un abito-scultura con i colori e il movimento di una bandiera italiana mossa dal vento. Un capo che una giovane italiana, magari dalla pelle nera, indosserebbe magnificamente.
Anna Maria Colombo