Murmures. Il delicato equilibrio della parola
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“In Aristotele la virtù implica la giusta proporzione, che è la via di mezzo fra i due eccessi.”
G. Reale, Storia della filosofia antica, Milano – 1979
Specchio ribaltato di una realtà in cui la comunicazione, pubblica e privata, è sempre più assordante, sei artiste si ritrovano sorprendentemente intorno ad un progetto dal significativo titolo di Murmures, sussurri. Quasi a reinterpretare il concetto aristotelico di virtù, le artiste cercano infatti di trovare il punto di equilibrio, un antidoto all’incomunicabilità, sia essa dovuta al rumore eccessivo che la ostacola o alla chiusura che, all’opposto, la nega. Mezzo di condivisione scelto è il linguaggio dell’arte: seguendo codici personali, coerenti seppur mai uguali anche all’interno di ogni singola ricerca, ciascuna artista dà voce al proprio intimo facendo uso dei mezzi che le risultano più congeniali. [….]
Con opere dall’aspetto per alcuni versi simili ma con codici in realtà diversi, Silvia Beccaria fa invece uso di una delle tecniche più antiche, con delle radici che risalgono alle prime attività umane, qual è quella dell’intreccio di fibre, della tessitura. Una tecnica primigenia per una forma d’arte solo recentemente codificata se è vero che per indicarne una data di nascita si fa riferimento alle Biennali di Losanna degli anni Sessanta del secolo scorso. Argomento dei suoi lavori sono il tema della parola, la paziente costruzione del testo. Giocando sul doppio livello di significato di textus, inteso come tessuto e come discorso pianificato, il parlare umano è trascritto, nero su bianco, per poi essere esso stesso oggetto di tessitura, in un gioco in cui le varie componenti del discorso sono tessute e intrecciate sia idealmente che fisicamente. In quello che la critica stilistica definisce una famiglia metaforica, testo, trama e filo del discorso sostanziano un’installazione che riunisce profondità di significato, forte impatto visivo ed elevato risultato estetico giocati sulle trasparenze del materiale scelto e sulla semplicità di una tavolozza cromatica ristretta. E quale titolo migliore di Aracne ,la sfida ordita per questa installazione che evoca il tessere paziente ed incessabile per eccellenza, quello dei ragni appunto.
Per la prima volta nel percorso a più voci delle artiste coinvolte nel progetto, o forse in maniera più marcata, la parola e il tessere testi assumono qui una sfumatura negativa, quasi di condanna a cui l’Uomo è sottoposto per aver osato sfidare la divinità, ovvero nella presa di coscienza della difficoltà, della fatica dell’atto di comunicare, solo alla fine raggiunto con successo.
Domenico Iaracà