Servono tante immagini e tante parole per imparare a pensare, perché il pensiero deve essere grande e alto. Esiste qualcosa che va oltre la nostra vita e si diffonde nell’etica di ciò che rimane, una cosa che non si esaurisce come le risorse del potere, del profitto o della convenienza relazionale.
Questo qualcosa nasce dalle immagini e dalle parole che fondano la nostra umanità, quelle che ci spiegano cosa è giusto o sbagliato, che raccontano i sentimenti che ci avvicinano o il limite di un comportamento con l’altro, che ci dicono cosa significa stupirsi della bellezza nell’incanto o annientarsi nell’orrore.
Ed è da qui che Silvia Beccaria con l’intreccio e l’ago imbastisce la sua scrittura, creando le sue impunture di immagini. Da questa prospettiva costruisce una visione che attraversa i temi della sacralità dell’esistenza – perché l’ha interiorizzata – e accoglie gli enigmi della morte – perché ci appartengono – .
In questo sistema di valori non è contemplato quello che Heidegger chiama «pensiero calcolante» che guarda i vantaggi e gli svantaggi. Se, come sostiene Umberto Galimberti “l’etica è un pensiero altro da quello economico”, nella prospettiva di Silvia si sviluppa una diversa qualità del pensiero, eterna perché più grande e più alta: così, ogni parola e ogni immagine è già azione perché estrae da noi stessi la capacità di distinguere un sentimento, insegnandoci a riconoscerlo nelle sue declinazioni. Un processo che ci permette di essere uomini e donne interi, che costruiscono la propria complessità con i vasti materiali emotivi, cognitivi e comportamentali, che abbiamo a disposizione. Per diventare uniti ma autonomi, fedeli ma liberi, per stare nella verità senza ferire, per comprendere come stiamo vivendo e riuscire ad essere quello che solo l’arte può farci comprendere di essere. Come una profetessa dell’antica Grecia, Silvia spontaneamente utilizza il proprio io seguendo la sua intima inclinazione che svela l’essere umano come parte del tutto e non come governatore del suo ambiente, non come soggetto assoluto della realtà. Seguendo un filo che è relazione, in quell’accezione femminile e di rispetto altrui, la sua arte cuce rapporti tra impensabili lontananze abbattendo le convenzioni e le divisioni sociali: si manifesta così una riconciliazione con le persone, con le cose e con la natura in uno stato di armonia universale, possibile solo attraverso l’esperienza offerta di consapevolezza della nostra posizione in questo tempo e in questo luogo.
Corinna Conci